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ChatGPT: ecco i progetti

OpenAI in questi anni ha lavorato molto sull’evoluzione di ChatGPT, fino ad ora mancava una possibilità che tanti chiedevano e si domandavano quando sarebbe arrivata. Andiamo a vedere meglio che cosa permettono di fare i progetti. Il problema di avere troppe chat Chi utilizza più o meno assiduamente le chat con ChatGPT potrebbe aver notato una maggiore difficoltà nel ritrovare vecchie conversazioni che, per un motivo o per un altro, ci potrebbero interessare. Si finisce quindi a scorrere all’infinito o a utilizzare lo strumento di ricerca che, però, non risulta sempre accurato. Per la stessa natura degli LLM continuare una chat all’infinito con la paura di non ritrovarla più in futuro può portare ad un aumento delle allucinazioni o comunque delle risposte non accurate. Per questo la novità appena presentata può rappresentare un punto di svolta. I progetti: come funzionano I progetti hanno diverse funzioni e non servono solo all’archivio di chat comuni. A quanti di noi sarà capitato di creare due o più chat aventi un argomento simile che avrebbero beneficiato di un raggruppamento per facilitare l’uso? Di certo una casistica abbastanza comune. Cosa accade quando gestiamo un progetto più complesso? Aprire decine di chat diventa confusionario e faticoso. I progetti permettono di raccoglierle in una cartella unica e di creare anche delle istruzioni specifiche solo per quel progetto o archiviare dei file per creare un database comune. Non per tutti Al momento però non è disponibile per tutti la nuova funzionalità. Solo gli utenti che pagano un abbonamento ne possono usufruire per ora.

Europa: il tassello degli elettrolizzatori

L’Unione Europea (UE) ha delineato ambiziosi piani per l’adozione dell’idrogeno verde come pilastro della transizione ecologica, puntando a produrre internamente 10 milioni di tonnellate entro il 2030 e a coprire circa il 10% del fabbisogno energetico comunitario entro il 2050. Tuttavia, la crescente dipendenza dalla Cina per la fornitura di elettrolizzatori, fondamentali per la produzione di idrogeno verde, solleva preoccupazioni significative. La dominanza cinese nel mercato degli elettrolizzatori Attualmente, la Cina detiene circa il 60% della capacità manifatturiera globale di elettrolizzatori, una quota destinata ad aumentare. Questo dominio è sostenuto da sussidi statali che permettono ai produttori cinesi di offrire elettrolizzatori a prezzi inferiori rispetto ai concorrenti europei, creando una concorrenza sleale e mettendo a rischio l’industria europea del settore. Le preoccupazioni dell’industria europea In risposta a questa situazione, venti aziende europee del settore hanno inviato una lettera alla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, esprimendo timori riguardo alla possibile perdita di competitività e alla dipendenza tecnologica dalla Cina. La lettera sottolinea che una volta persa una tecnologia o la sua filiera, è difficile recuperarla, e richiama l’attenzione su precedenti settori, come il fotovoltaico, dove l’Europa ha già perso terreno a favore della Cina. Misure protettive dell’UE Per affrontare queste preoccupazioni, l’UE ha introdotto misure per limitare l’uso di componentistica cinese nei progetti finanziati. Nella seconda asta dell’European Hydrogen Bank, è stato stabilito che gli elettrolizzatori di origine cinese non possono superare il 25% della capacità produttiva degli impianti sovvenzionati. Questa decisione mira a proteggere l’industria europea e a garantire una maggiore autonomia tecnologica. Sfide future e considerazioni Nonostante queste misure, l’Europa si trova ad affrontare una sfida complessa. La protezione del mercato interno potrebbe non essere sufficiente se non accompagnata da investimenti significativi nella capacità produttiva e nell’innovazione tecnologica. La concorrenza cinese, sostenuta da politiche governative aggressive e da una produzione su larga scala, rappresenta una minaccia concreta per l’industria europea degli elettrolizzatori.

Come ottenere incentivi per i software con Transizione 5.0

Software e transizione 5.0: come sfruttare gli incentivi per i software ERP La transizione 5.0 è ormai realtà, da agosto gli incentivi sono disponibili. Un elemento centrale di questa trasformazione è l’adozione di software avanzati, come gli ERP (Enterprise Resource Planning), che consentono di ottimizzare i processi aziendali e aumentare la produttività. Grazie agli incentivi messi a disposizione dal governo italiano, è possibile ridurre significativamente i costi legati a queste implementazioni. Ma come possiamo accedere? Credito d’imposta: uno strumento chiave Il Piano Transizione 5.0 prevede l’erogazione di crediti d’imposta per incentivare gli investimenti in beni immateriali, come i software ERP. Questo strumento agevolativo è un ottimo modo per recuperare una parte dell’investimento. Nello specifico, l’entità del credito varia in base alla tipologia di investimento e alle dimensioni dell’impresa, con aliquote che possono arrivare fino al 20% del costo sostenuto. Requisiti e procedure L’accesso ai benefici fiscali è regolato da precisi criteri che vanno rispettati per poter ottenere l’agevolaizone. Il software deve essere conforme agli standard di Industria 5.0, garantendo quindi integrazione, interoperabilità e sicurezza. Inoltre, l’investimento deve essere documentato attraverso fatture e contratti dettagliati. È essenziale compilare una perizia tecnica che certifichi la compatibilità del software con i requisiti richiesti. Tale documento deve essere redatto da un professionista abilitato e costituisce una parte integrante della domanda per il credito d’imposta. Come massimizzare i vantaggi Per ottimizzare l’accesso agli incentivi non è da escludere la possibilità di affidarsi alla professionalità di un consulente che possa aiutarci a seguire correttamente l’iter. Si tratta di procedure che richiedono un minimo di esperienza e senz’altro potrebbe essere meglio essere affiancati. Una strategia per il futuro L’adozione di software ERP, sostenuta dagli incentivi del Piano Transizione 5.0, non è solo un’opportunità di risparmio immediato, ma rappresenta un investimento strategico per il futuro. Le imprese che sapranno sfruttare questi strumenti non solo miglioreranno la propria efficienza operativa, ma saranno anche meglio preparate ad affrontare le sfide di un mercato sempre più competitivo e sostenibile.

Meccanica italiana: prospettive per il 2025

Un altro anno giunge al termine e le sfide che si avvicinano sono tante. In un contesto economico non semplice e con grandi adeguamenti da compiere cosa succederà nel 2025? Proviamo a tracciare un quadro più chiaro. Trasformazioni necessarie I prossimi anni saranno caratterizzati da una transizione ecologica e tecnologica. Infatti questi due binari guideranno l’evoluzione industriale per rendere tutto più efficiente. La meccanica italiana, che da sola rappresenta circa il 10% del PIL industriale nazionale e offre lavoro a oltre 1,6 milioni di persone, è chiamata a rinnovarsi radicalmente per restare al passo con le richieste del mercato internazionale e delle normative europee in materia di sostenibilità. Il contesto normativo europeo, tratteggiato dal Green Deal e dai target di decarbonizzazione fissati per il 2030 e il 2050, impone standard sempre più stringenti. La digitalizzazione, d’altro canto, si pone come il mezzo per accelerare questa transizione, grazie all’adozione di tecnologie come l’IoT, l’intelligenza artificiale e la robotica avanzata, che consentono di ottimizzare i processi produttivi, ridurre i consumi energetici e limitare gli sprechi. Il ruolo della sostenibilità Gli incentivi e i progetti del PNRR sono un volano importante per la crescita e il cambiamento del modo di produrre e fare meccanica. Tuttavia, la sostenibilità non si limita all’efficienza energetica o alla riduzione delle emissioni di CO₂. Riguarda anche la gestione delle risorse, come l’acqua e i materiali, e l’intero ciclo di vita dei prodotti, dalla progettazione al riciclo. Un esempio virtuoso è rappresentato dalle aziende che hanno investito in macchinari più efficienti e tecnologie per il recupero dei materiali, riducendo al contempo i costi e aumentando la competitività. Queste pratiche stanno diventando la norma, piuttosto che l’eccezione, in un mercato sempre più orientato verso la sostenibilità come requisito fondamentale. Digitalizzazione e industria 5.0 Parallelamente, l’adozione di tecnologie digitali è il cuore pulsante della trasformazione del settore. La meccatronica, sintesi tra meccanica, elettronica e informatica, si sta affermando come il paradigma dominante. Attraverso l’automazione avanzata e la connettività, le aziende possono monitorare in tempo reale le proprie operazioni, prevedere guasti e ottimizzare l’intera catena produttiva. Un caso emblematico è rappresentato dall’introduzione di gemelli digitali (digital twins), modelli virtuali che simulano il comportamento reale di macchinari e impianti. Queste soluzioni non solo migliorano l’efficienza, ma permettono anche di testare innovazioni in un ambiente virtuale prima di implementarle fisicamente, riducendo i rischi e i costi associati. Un passo in avanti deciso che consente di avanzare con molta più sicurezza verso un futuro tecnologico importante. Le sfide del settore Il futuro presenta anche alcuni ostacoli che vanno superati per mantenere competitività nel tempo. Uno dei principali riguarda la carenza di competenze. La transizione digitale richiede personale altamente qualificato, ma il sistema formativo non sempre riesce a rispondere adeguatamente alle esigenze delle imprese. Anche il contesto economico e geopolitico internazionale rappresenta un’incognita. La dipendenza dell’industria meccanica da mercati esteri, sia per l’export che per l’importazione di materie prime e componenti, rende il settore vulnerabile a crisi globali, come quelle causate dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina. Le proposte delle associazioni di categoria Anima Confindustria, che rappresenta oltre 60 associazioni del settore meccanico, ha tracciato una roadmap per sostenere il comparto in questo delicato momento storico. Tra le priorità evidenziate vi sono il sostegno all’internazionalizzazione, lo sviluppo di politiche energetiche sostenibili e l’ottimizzazione dell’utilizzo dei fondi del PNRR. L’obiettivo è creare un ecosistema industriale che possa competere sui mercati globali, garantendo al contempo un futuro sostenibile. Questo implica non solo investimenti in tecnologia, ma anche una maggiore attenzione alle competenze e alla formazione, con programmi specifici per giovani e professionisti del settore. Eccellenze italiane e best practices In questo scenario, alcune aziende italiane si distinguono per la loro capacità di innovare e affrontare le sfide della transizione. Ad esempio, nel settore delle macchine utensili, molte imprese stanno adottando soluzioni integrate basate sull’intelligenza artificiale per ottimizzare la produzione e ridurre l’impatto ambientale. Un’altra storia di successo riguarda i compressori industriali, dove aziende leader stanno investendo in tecnologie di recupero del calore e in sistemi di controllo digitali per migliorare l’efficienza energetica. Questi esempi non solo dimostrano la vitalità del settore, ma rappresentano anche un modello da seguire per altre realtà imprenditoriali.

Incentivi rinnovabili anche per le MPMI

Distribuzione delle risorse Il 40% dei fondi è destinato alle regioni del Mezzogiorno—Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia—per sostenere lo sviluppo sostenibile in queste aree. Un ulteriore 40% è riservato alle micro e piccole imprese, riconoscendo il loro ruolo cruciale nel tessuto economico nazionale. Dettagli degli incentivi per le rinnovabili Le agevolazioni sono concesse sotto forma di contributi in conto impianti per investimenti compresi tra 30.000 e 1.000.000 di euro per ciascuna unità produttiva. Le percentuali di contributo variano in base alla dimensione dell’impresa e alla tipologia di intervento: Queste misure sono conformi al “Regolamento GBER” sugli aiuti di Stato. Spese ammissibili Le spese che possono beneficiare delle agevolazioni includono: Procedura per la presentazione delle domande La gestione dell’iniziativa è affidata a Invitalia, che definirà le modalità e i termini per la presentazione delle domande attraverso un successivo provvedimento direttoriale. In caso di risorse non completamente utilizzate nelle riserve destinate, i fondi saranno redistribuiti per finanziare progetti in altre regioni e per imprese di medie dimensioni, garantendo un utilizzo efficiente delle risorse disponibili.

AI e l’arte di fare le domande giuste

“Prima di valutare se una risposta è esatta si deve valutare se la domanda è corretta.” Immanuel Kant Pensare che Kant nel XVIII secolo potesse aver anche solo l’idea di quella che sarebbe stata l’intelligenza artificiale è quantomeno bizzarro, almeno nella sua accezione contemporanea. Questa sua affermazione centra però quello che probabilmente è uno degli snodi principali dell’AI. Se vogliamo trovare nell’intelligenza artificiale un valido aiutante, dobbiamo infatti affinare l’arte del fare domande. Quanto più queste saranno ben strutturate, quanto più le risposte che ci verranno restituite saranno soddisfacenti. Dunque, cosa fare: 1. Essere chiari e diretti: Esempio: “Sei il copywriter di Lettureproduttive.it” 2. Assegnare un ruolo al chatbot Esempio: “Esamina l’articolo che sto per pubblicare e consigliami come riscriverlo in modo che sia più sintetico, più gradevole e che sia adeguato ad un lettore che da queste righe voglia trarre informazioni utili per il suo lavoro” 3. Separare le indicazioni dai dati e/o dai documenti Esempio: “Di seguito il link di un articolo che è piaciuto ai nostri lettori, potresti prendere qualche spunto nel tipo di scrittura scelta.” Siamo solo ai primi bagliori dell’alba dell’intelligenza artificiale. Mentre scriviamo queste parole, probabilmente sono già superate. E lo saranno sicuramente quando verranno lette. Ma oggi, per ottenere il meglio dagli strumenti che l’AI ci mette a disposizione, dobbiamo offrirgli un contesto chiaro e significativo. In un certo senso, dobbiamo renderli più vicini al nostro modo di pensare e comunicare, quasi ‘umanizzarli’.

Parliamo di impresa sociale con Jacopo Corona

Chi è Jacopo? Sono Jacopo, ho 32 anni, e da sei anni vivo l’esperienza del terzo settore con l’avventura di Frolla. Prima di questa esperienza, lavoravo nel settore alimentare, un ambito che mi ha sempre appassionato, ma non era legato alle tematiche sociali che ho sempre sentito molto vicine a livello personale. Ho partecipato a numerose attività di volontariato, sia in Italia che all’estero, collaborando con associazioni e fondazioni, ma lo facevo a titolo puramente volontaristico. Nel 2017, però, l’azienda per cui lavoravo ha chiuso, e mi sono trovato a dover ripensare il mio percorso. In quel momento mi sono fermato a riflettere su cosa volessi fare davvero. Ho capito che volevo dedicarmi a qualcosa che mi rappresentasse, unendo il mio background nel settore alimentare alla mia passione per il sociale. Da lì è nata l’idea di creare Frolla, un progetto che coniuga questi due mondi in un’impresa sociale che cerca di avere un impatto concreto. Quali ostacoli hai affrontato nella fase iniziale, passando dall’idea all’impresa? L’età è stato il primo grande ostacolo. Avevo 24 anni quando ho iniziato a lavorare su questa idea, e purtroppo in Italia sei visto ancora come un “ragazzino”. Nonostante il progetto piacesse e il business plan fosse ben fatto, perché ci eravamo fatti aiutare da molti professionisti, non era facile ottenere fiducia, soprattutto da banche e fondazioni. Avere poca esperienza pregressa a livello imprenditoriale non aiutava. Per superare queste difficoltà, ci siamo affidati a metodi alternativi, come una campagna di crowdfunding e l’idea dell’impresa collettiva, che ci ha permesso di coinvolgere diverse persone nel progetto. Anche la burocrazia è stata un grande ostacolo: non era semplice coniugare il mondo alimentare con quello sociale, e spesso neanche gli uffici competenti sapevano bene come gestire la nostra richiesta. È stato un periodo molto impegnativo, ma siamo riusciti a trovare una strada e a partire. C’è mai stato un momento in cui hai pensato di mollare? Mollare no, mai. Certo, ci sono stati momenti di grande difficoltà, soprattutto all’inizio, quando cercavamo di far partire il progetto e trovare i fondi. Non è stato facile, ma ho sempre creduto molto in quello che stavamo facendo. Questo senso di condivisione è stato fondamentale: non è mai stato un progetto solo mio, ma il risultato di un lavoro di squadra con tante persone che hanno creduto nel sogno di Frolla. Ovviamente ci sono state giornate pesanti, in cui tornavo a casa sfinito, ma non mi sono mai sentito sopraffatto al punto di voler abbandonare tutto. Credo che chi fa impresa, soprattutto nel sociale, debba avere una grande elasticità mentale e capacità di adattamento. Le crisi ormai sono sempre più frequenti, e se non sei flessibile, rischi di spezzarti. Come avete gestito la formazione dei ragazzi e delle ragazze che lavorano con voi? Abbiamo sviluppato due canali principali per l’inserimento lavorativo. Da un lato, collaboriamo con un istituto alberghiero della nostra zona, con cui abbiamo una convenzione che permette ai ragazzi e alle ragazze con disabilità di frequentare il nostro laboratorio durante il percorso scolastico, attraverso stage o alternanza scuola–lavoro. Questo ci consente di creare un ponte tra il mondo scolastico e quello lavorativo, aiutando i giovani a capire l’importanza e l’applicazione pratica di quello che imparano a scuola. Dall’altro lato, lavoriamo direttamente con i servizi sociali di circa 78 comuni nella nostra area. Qui ci occupiamo di ragazzi che spesso sono fuori dal sistema scolastico da anni, quindi il loro inserimento è più complesso. Per questo stiamo investendo in una nuova struttura, dove poter realizzare laboratori professionalizzanti e accompagnare questi ragazzi in un percorso più graduale e personalizzato. Quanto è stato difficile collaborare con le istituzioni locali? Devo dire che oggi, dopo cinque o sei anni di attività, siamo un punto di riferimento per i comuni della nostra zona. Fin dall’inizio, però, ci siamo posizionati come una risorsa per loro, visto che qui ci sono poche strutture capaci di offrire percorsi di inserimento lavorativo per ragazzi con disabilità. Tuttavia, gestire un’impresa sociale significa anche imparare a non dipendere troppo da convenzioni pubbliche. Noi crediamo fermamente che un’attività come la nostra debba essere sostenibile da sola, basandosi su quello che produce. Il fund–raising è uno strumento utile, ma lo usiamo per investire e migliorare i servizi, non per mantenere l’attività operativa. Come avete affrontato il periodo del Covid-19? Invece di chiuderci, abbiamo deciso di investire. Nel 2020 abbiamo puntato sull’e-commerce, un canale che ha avuto un boom grazie al lockdown, e nel 2021 abbiamo lanciato il progetto Frolla Bordi. Non è stato facile: il nostro team interno era ridotto e dovevamo gestire tutto in condizioni complicate. Ma siamo riusciti a trasformare una situazione critica in un’opportunità. Per dare un’idea, nel 2020 abbiamo aumentato il fatturato del 70% rispetto all’anno precedente. Qual è stato l’impatto del vostro ambiente lavorativo sui ragazzi e le ragazze? L’impatto è stato enorme, soprattutto a livello personale. I ragazzi che lavorano con noi, soprattutto quelli provenienti da situazioni più difficili, hanno sviluppato competenze relazionali e una maggiore autonomia. Si sono create amicizie, organizzano attività insieme fuori dal lavoro, come andare al cinema o giocare a bowling. Anche il rapporto con i clienti è significativo: alcuni ragazzi vengono chiamati per nome dai clienti abituali, un riconoscimento che per loro ha un valore immenso. Abbiamo sempre cercato di creare un ambiente aperto e integrato con la comunità, dove il divertimento è parte integrante del lavoro. Secondo te, quanto è replicabile in Italia un modello di impresa sociale come il vostro? Tantissimo. Sempre più aziende stanno capendo l’importanza di integrare la responsabilità sociale nel proprio modello di business. Credo che ci sia una grande rivoluzione in corso, con il profit e il no profit che si avvicinano sempre di più. Non si tratta solo di fare beneficenza, ma di ripensare l’impresa come un attore sociale. Questo approccio è fondamentale, soprattutto in un momento storico come il nostro, in cui il benessere delle persone e la sostenibilità devono diventare centrali.

Disegni+: il bando per i disegni industriali

Nuovo bando del governo.

Le PMI italiane hanno ora un’opportunità importante per migliorare la loro competitività grazie al bando Disegni+, che mira a sostenere la valorizzazione dei disegni e modelli industriali. Questa iniziativa, promossa dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in collaborazione con Unioncamere, ha lo scopo di incentivare le imprese che vogliono investire nella tutela e nella valorizzazione della proprietà intellettuale. Obiettivi del bando Il programma è finalizzato a: Le agevolazioni disponibili Il bando offre un contributo a fondo perduto per finanziare: Requisiti per partecipare Possono accedere al bando tutte le PMI che: Come presentare domanda Le domande possono essere presentate tramite il portale dedicato di Unioncamere. È fondamentale preparare tutta la documentazione necessaria, che include: Scadenze Le domande sono aperte dal 7 novembre 2024 fino ad esaurimento delle risorse. Si consiglia alle imprese interessate di agire rapidamente, poiché i fondi sono limitati. L’importanza della tutela della proprietà intellettuale Il bando Disegni+ rappresenta una risposta concreta alla necessità di sostenere la creatività e l’innovazione delle PMI italiane. La protezione dei disegni e modelli industriali non solo salvaguarda il valore delle idee, ma rappresenta anche un vantaggio competitivo strategico in un mercato sempre più globale.

Legge di bilancio 2025: le novità

La Legge di Bilancio 2025 introduce una serie di modifiche e aggiornamenti destinati a influenzare le piccole e medie imprese (PMI) italiane. Molti incentivi sono stati rinnovati. Novità dal 2024 Nella Legge di Bilancio 2025 non sono previsti incentivi completamente nuovi per le PMI, ma vengono confermati alcuni strumenti rilevanti, tra cui il taglio del cuneo fiscale e la detassazione dei premi di produttività. Tuttavia manca ancora una politica industriale dettagliata che risponda alle esigenze specifiche delle piccole e medie imprese, le quali rimangono alla ricerca di strumenti più mirati per il proprio sviluppo. Incentivi per il Mezzogiorno Un’importante conferma nella manovra del 2025 riguarda gli incentivi per il Mezzogiorno. Questo strumento supporta la crescita economica nel Sud Italia, incentivando le imprese a investire in nuove attività produttive e a incrementare l’occupazione locale. Gli incentivi consistono in agevolazioni fiscali per le aziende che desiderano aprire nuove attività o espandere quelle già esistenti nelle regioni meridionali, per promuovere un maggiore sviluppo economico nelle aree svantaggiate. Questo incentivo è una proroga delle misure attivate negli anni precedenti e risponde all’obiettivo di ridurre il divario territoriale. Incentivo industria 5.0 Un’altra importante proroga è quella legata all’incentivo per l’Industria 5.0, un punto chiave per la transizione tecnologica delle PMI. Secondo quanto riportato nel testo ufficiale della manovra l’obiettivo dell’Industria 5.0 è quello di incentivare gli investimenti in tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale, la robotica collaborativa e i sistemi di automazione, aiutando così le imprese a diventare più sostenibili e competitive. Questo incentivo offre contributi e agevolazioni fiscali mirati a favorire l’adozione di tecnologie 5.0, con particolare attenzione anche alla sostenibilità e alla responsabilità sociale. Ecco i requisiti. Per ulteriori informazioni qui l’articolo specifico. Incentivi per l’innovazione aziendale La Legge di Bilancio 2025 conferma, inoltre, il supporto per l’innovazione aziendale. Le agevolazioni per le PMI che investono in ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica e digitalizzazione sono state prorogate. Le imprese potranno quindi continuare a beneficiare di contributi a fondo perduto e di crediti d’imposta per progetti di innovazione, finalizzati allo sviluppo di nuovi prodotti, processi o servizi. Anche la Legge Sabatini è stata rifinanziata, per sostenere l’acquisto di beni strumentali, supportando così le PMI nei loro piani di modernizzazione e digitalizzazione. Per ulteriori informazioni. Gestione dei fringe benefit e benefit aziendali Per quanto riguarda i fringe benefit, la manovra conferma le esenzioni fiscali e contributive stabilite nel 2024. Le soglie di esenzione per i fringe benefit sono stabilite a 1.000 euro per i dipendenti senza figli a carico e a 2.000 euro per i dipendenti con figli a carico, applicabili fino al 2027. Inoltre, è prevista un’esenzione fino a 5.000 euro per i nuovi assunti che trasferiscono la residenza di oltre 100 chilometri per coprire le spese di affitto e manutenzione degli immobili locati, una misura volta a favorire la mobilità e l’attrattività aziendale. Conclusioni La Legge di Bilancio è ampia e sfaccettata, presenta diversi incentivi, questi sono alcuni dei più importanti ma ne esistono anche altri. Per ulteriori informazioni occorre consultare questo sito.

Cos’è un fractional manager? Approfondiamo con Alessandro Niglio

Chi è Alessandro Niglio? Partiamo dall’inizio. Mi sono laureato in matematica nel 1994 perché la mia passione era la matematica. In realtà, avrei sempre voluto insegnare, diventare un professore di matematica, una materia che mi piaceva tantissimo. Tuttavia, all’epoca non c’erano concorsi, né nelle scuole, né nelle università, quindi era difficile. Ho iniziato la mia carriera come ricercatore di software. Dopo un corso di formazione di oltre un anno, fui assunto a tempo indeterminato come ingegnere del software e ricercatore presso un consorzio di ricerca. Le mie prime applicazioni furono nel campo dell’intelligenza artificiale e della progettazione di basi di dati di conoscenza, quello che oggi chiamiamo big data e machine learning. All’epoca c’era Prolog e lavoravamo su progetti di documentazione automatica del software, utile soprattutto per industrie e banche che dovevano mantenere vecchi software scritti in COBOL. La mia carriera si è evoluta, ho fatto tutti i gradini del mondo informatico fino a diventare dirigente nel 2009. Sono stato dirigente in cinque aziende diverse, lavorando nel mondo dell’informatica, del facility management, del property management, e in piccole, medie e grandi imprese. Negli ultimi 5 anni mi sono dedicato alla consulenza strategica e all’innovazione, lavorando in un’azienda che si occupava di investimenti in startup in fase early stage. Ho gestito un portafoglio di 23 startup, con tre exit alle spalle, e ho affiancato vari team come mentor. Da tre anni ho iniziato a investire anche io in startup, soprattutto quelle che si occupano di tecnologie utili alla trasformazione digitale delle PMI. Quest’anno, ho intrapreso la mia vita imprenditoriale e la libera professione, aderendo a un network, Your Group, di fractional management. La mia visione è portare l’innovazione nelle PMI, nelle aree interne e nei piccoli borghi. Sono anche socio della fondazione Ampioraggio, che si occupa proprio di portare innovazione nelle comunità montane e nei piccoli borghi. Oggi sono un fractional manager esperto in innovazione, specializzato nella trasformazione digitale delle piccole e medie imprese. Che figura è il fractional manager? Gli imprenditori sentono il bisogno di iniettare managerialità nelle loro aziende, ma assumere un manager esperto può essere costoso. Inoltre, c’è spesso uno scontro culturale tra il manager esterno e l’ambiente familiare. È per questo che il fractional management è diventato una soluzione popolare. Il fractional manager è un professionista con esperienza esecutiva che lavora per diverse aziende contemporaneamente. Offre alle PMI la possibilità di avere accesso a competenze manageriali di alto livello a una frazione del costo, e con un impegno modulare. Questo approccio permette di far crescere l’azienda gradualmente, trasferendo competenze e best practice che non sempre sono presenti all’interno. Come si può innovare nelle aziende italiane? È una domanda ampia e complessa. Provo a concentrarmi sulle PMI, che rappresentano una fetta enorme del panorama imprenditoriale italiano. Se non ricordo male, occupano circa il 75% degli impiegati e generano una grande parte del PIL. Molte di queste aziende sono nate nel dopoguerra, e oggi sono arrivate alla seconda o terza generazione. Quando parlo di innovazione in questo contesto, la suddivido in quattro aree: persone, cultura, tecnologia e crescita. Per quanto riguarda il mondo startup, l’Italia è in grado di innovare? Io dissento completamente da chi dice che in Italia manchi innovazione. Al contrario, abbiamo una lunga storia di innovazione: da Leonardo da Vinci a Olivetti. Ciò che manca è la capacità di fare sistema. Dobbiamo imparare a collaborare, a competere e a fare “coopetition“. In Italia, abbiamo molte eccellenze, ma spesso vengono vendute o osteggiate dalle normative. Mancano politiche che favoriscano lo sviluppo e l’ecosistema imprenditoriale, mentre si mettono in atto troppe misure restrittive che limitano l’accesso all’innovazione. Qual è stata la startup con l’idea più folle che hai sentito, ma che ha avuto successo? Una delle più folli è stata sicuramente Cubit, che si occupa di cloud. All’inizio non ci credevo, mi sembrava che fosse troppo tardi per quel tipo di innovazione, ma sono stati bravissimi e ora sono arrivati alla Series B, raccogliendo tanti finanziamenti. Un’altra che mi ha colpito è stata Unobravo, una startup campana che offre servizi di psicologia online. Partita dal nulla, ha avuto una crescita incredibile. Il suo successo dimostra che anche partendo da zero, con determinazione, si possono raggiungere grandi obiettivi. Infine, Up2You, che si occupa di sostenibilità. Anche qui ero scettico all’inizio, ma i fondatori hanno dimostrato grande determinazione, e ora sono una delle startup italiane più promettenti. Un’azienda come può prepararsi all’arrivo di un manager? La prima cosa che consiglio è aprirsi al mondo esterno. Molti imprenditori frequentano solo i luoghi tradizionali di networking come Confindustria, dove si parlano tra loro, ma non sempre trovano le soluzioni ai propri problemi. Bisogna uscire dalla propria zona di comfort, partecipare a eventi, convegni e incontri dove si discute di innovazione. Esistono organizzazioni come Your Group, Talent Garden, e altre che promuovono l’innovazione e facilitano il networking con professionisti e startup. Uscire dal proprio contesto è il primo passo per risolvere i problemi e prepararsi al cambiamento.

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