Il futuro dell’AI con Cristiano De Nobili

Chi è Cristiano De Nobili? Sono un fisico teorico con un PhD in Quantum Information Theory alla SISSA di Trieste. Con oltre otto anni di esperienza in Deep Learning e AI. Oggi sono Lead AI Scientist presso Pi School e Tech Lead di due grant ESA, lavorando principalmente sull’AI applicata alle sfide ambientali e climatiche. Sono docente di Deep Learning presso il Master in High-performance Computing (ICTP/SISSA, Trieste) e di Quantum Machine Learning presso la Scuola Superiore Ca’ Foscari. Ho da sempre cercato di rivolgere la mia attenzione alle tecnologie emergenti, dall’IA e alle tecnologie quantistiche, con collaborazioni che vanno dalla European Space Agency fino al SIOS Remote Sensing Centre delle Isole Svalbard. Oggi si parla quasi solo di Generative AI ma ne esistono tanti tipi diversi, esistono modelli AI più promettenti di queste? Il grande merito dell’AI Generativa è quello di aver permesso un’interazione uomo-macchina più semplice che in passato, l’interazione oggi è alla portata di tutti perché l’unico requisito richiesto è saper usare il linguaggio naturale. Tuttavia l’AI Generativa non è l’unica cosa esistente. Anzi, la gran parte delle applicazioni degli algoritmi di Machine Learning non sono generative. Alcuni esempi sono gli algoritmi dietro molti processi di ottimizzazione industriale, gli algoritmi che muovono i motori di ricerca o che si nascondono dietro l’e-commerce o le predizioni finanziarie. Ci sono modelli AI che assistono i medici nelle diagnosi o algoritmi di Deep Learning che permettono di analizzare i dati satellitari. L’AI in generale in che direzione si sta muovendo: aiuto delle capacità umane o sostituzione? L’AI di per sé non si sta muovendo in nessuna direzione in maniera autonoma ma è chiaro che si muove nel perimetro normativo che glielo consente. In altre parole la scelta politica deve indirizzare lo sviluppo nella direzione che ritiene più opportuna, per esempio allineata con i principi umani. Nei prossimi cinque anni molti lavori potranno essere sostituiti, non solo quelli noiosi o ripetitivi, ma anche quelli creativi. Sta alla politica e a noi decidere chi mettere al centro, a chi tutelare dei diritti. Gli USA, secondo le maggiori agenzie, stanno lavorando ad una legge che impedisca la cessione dei propri LLM a competitor esteri che possano rappresentare un rischio per la sicurezza nazionale. Questa è una scelta che può avere un senso per contenere eventuali utilizzi malevoli? Sicuramente nell’ottica di mantenere la superiorità tecnologica per gli USA ha senso questo tipo di strategia. Occorre ricordare però che questi algoritmi sono stati creati anche da collaborazioni tra università, quindi sarebbe giusto che questa tecnologia fosse disponibile a tutti. Dopo aver assistito al rapido sviluppo di testi, video e audio generati dall’AI, che cosa possiamo aspettarci nel futuro prossimo? In realtà questo è l’aspetto che sorprende tutti perché lo vediamo tutti i giorni ma gli LLM non sono gli unici. Oggi esistono i Multimodal Foundational Model che sono in grado di ricevere ed elaborare tanti tipi di input. Ma i modelli più interessanti sono quelli come i Genomic Language Model, che potenzialmente potrebbero essere in grado di creare sequenze di DNA. Oppure ci sono modelli che stanno cercando di studiare il linguaggio animale e quindi che possano permettere un’interazione mai vista tra uomo e altre specie. Il mondo del futuro avrà spazio solo per figure tecniche o ci sarà lavoro anche per altri tipi di figure? Nei prossimi anni senz’altro i tecnici saranno essenziali perché l’evoluzione dell’AI sarà importante e strategica. Quindi sarà richiesta grande competenza in settori chiave. A lungo termine invece è probabile che i modelli di AI saranno talmente evoluti da abbassare le “barriere d’ingresso” nel mondo più tecnico. Avranno sempre più importanza competenze ibride, anche con uno spiccato lato umanistico. Altrettanto importanti saranno quei lavori in grado di riportare l’uomo ad avere una forte connessione con la Natura, in un mondo sempre più frenetico e tecnologico. L’AI arriverà mai ad essere in grado di programmare la propria evoluzione da sola? Ci sono già dei modelli che tentano di fare questo ma non sono assolutamente efficienti, la tecnologia è ancora troppo primordiale per pensare ad un’evoluzione del genere. Il rischio di trovarci in un film di fantascienza al momento è bassissimo. Molto più preoccupante è l’utilizzo che l’uomo stesso fa di queste tecnologie. Cosa stiamo facendo per costruire gli “anticorpi” per proteggerci da utilizzi malevoli dell’AI? L’Europa con l’IA Act ha cercato di creare una regolamentazione normativa per prevenire situazioni potenzialmente rischiose. Chiaro che a margine di un’azione normativa è necessario che le persone fruiscano di contenuti in modo più attivo domandandosi se il contenuto che stanno visualizzando sia generato da AI oppure sia generato da umani.
Parliamo di facilitazione con Andrea Romoli

Chi è Andrea Romoli? Da due anni e mezzo sono facilitatore LEGO® SERIOUS PLAY®, in precedenza ho ottenuto due certificazioni: Design Thinking e Design Sprint. Negli anni precedenti ho avuto esperienze tecniche di vario tipo come sistemista e ruoli affini. Ho organizzato il Mashable Social Media Day, partito da una partecipazione di nicchia si è trasformato in un evento con più di cento speaker. Poi ho conosciuto Fabrizio Faraco con il quale organizzavamo eventi. Lui era già facilitatore LEGO® SERIOUS PLAY® e mi ha trasmesso la sua passione per la materia. Da lì le cose si sono evolute e lo sono diventato anche io. Che ruolo ha un facilitatore? Si tratta di un professionista neutrale rispetto al team che partecipa al workshop e cerca di favorire un clima che porti a delle soluzioni ai problemi aziendali. Si tratta di un ruolo non sempre semplice. A che tipo di settori si può applicare? La metodologia è senza contenuto, quindi è possibile applicarla a tutti i settori senza limitazioni. Anche nel manifatturiero può essere applicato e questo rende il metodo estremamente versatile. Il kit varia a seconda della situazione e della durata del workshop. Quanto è stata utile la tua esperienza pregressa? Gestire team, organizzare eventi è utile ma ciò che mi ha dato più strumenti è proprio il training per arrivare a diventare facilitatore LEGO® SERIOUS PLAY®. Senza adeguata formazione sarebbe impossibile svolgere il proprio lavoro con profitto. Come si organizza un workshop di successo? Serve una location adeguata alle dimensioni dell’evento ma anche il numero giusto di partecipanti. Per questo bisogna essere disposti a pubblicizzare adeguatamente l’evento. In questo senso la mia presenza social aiuta moltissimo a creare il giusto seguito. Strutturare il workshop correttamente rispetto agli argomenti, alla durata e alle pause per permettere di assimilare tutto agli utenti. Quali sono stati gli eventi che ti sono rimasti più eventi? Il workshop per diventare Facilitatore è stata un’esperienza incredibile perché ti mette alla prova in molti modi e ti permette di conoscere te stesso in modi che non pensavi. C’è stato un progetto particolare nel quale sei stato coinvolto? Una startup che ha ottenuto un grande finanziamento che aveva un grande problema di comunicazione tra le sedi aziendali nei diversi Paesi. Abbiamo quindi organizzato un workshop per elaborare una strategia di comunicazione interna. Durante l’evento hanno quindi individuato molti problemi che non sapevano di avere. Si può applicare successivamente quanto imparato? Quando hai imparato i principi guida durante l’evento li puoi seguire sempre. Se hai bisogno di avere un facilitatore in azienda puoi far intraprendere questo percorso ad un collaboratore. Ma si tratta di un percorso lungo e difficile. Cosa impari dalle aziende nel corso del tuo lavoro? Ogni occasione permette di affinare le mie competenze per svolgere il ruolo al meglio. Ogni azienda ha il suo modo di affrontare i problemi e le sue procedure. Per questo è necessario comprendere al meglio il contesto nel quale si applica il processo. Gli altri metodi che conosci in che contesti si applicano? Design Sprint e Design Thinking si applicano bene nell’ambito startup ma possono anche essere applicati in contesti differenti. L’importante è che si bilanci correttamente la parte pratica da quella teorica o si corre il rischio di non assimilare correttamente i concetti. L’IA che ruolo potrà avere nel tuo campo? Probabilmente in parte verrà toccato dall’arrivo di una tecnologia così importante. Nel breve periodo non credo però che vedremo novità eclatanti. Sicuramente potrà aiutarci intervenendo sulla costruzione del workshop. L’ambiente startup italiano in che situazione è? Senz’altro si tratta di un ambiente vivace ma non è facile riuscire ad emergere in un contesto come quello italiano. Stanno nascendo iniziative anche delle istituzioni per facilitare l’accesso al credito, soprattutto a Milano. Staremo a vedere nei prossimi anni in che direzione andrà.
Parliamo di hacker etici con Marco Balduzzi

Chi è Marco Balduzzi e come è diventato Hacker etico? Il percorso per diventare un hacker etico è lungo, senz’altro la prima cosa è la curiosità. Da ragazzo amavo capire come funzionasse tutto, ad esempio il motorino. Il fascino del computer è che abbatte le barriere d’ingresso. Gli hacker etici sono quelli che operano per trovare vulnerabilità ma non ne traggono vantaggio, hanno un ruolo benefico di segnalazione dei problemi. Percorso del tutto opposto a chi invece sfrutta le proprie abilità per compiere atti criminosi. Come mai in un mondo sempre più evoluto il DDoS è ancora un attacco diffuso? Nonostante sia semplice è difficile proteggersi da un attacco come questo. Infatti, soprattutto per piccole imprese, resistere a tanto traffico è praticamente impossibile date le ridotte capacità di banda. Per questo bisogna valutare con attenzione cosa esporre alla Rete internet e cosa debba rimanere confinato nella rete aziendale. Perché un hacker dovrebbe attaccare una PMI invece di un colosso? Le PMI hanno una capacità di preservare la sicurezza informatica più bassa rispetto ad un colosso che può investire milioni o miliardi in questo ambito. Perciò il potenziale profitto è più piccolo ma anche più facilmente raggiungibile. In questo mondo, inoltre, la voce di spesa legata alla sicurezza informatica deve essere annuale perché le minacce aumentano e cambiano: bisogna rimanere aggiornati. Come si proteggono i dispositivi connessi alla Rete, come anche macchinari smart, da potenziali attacchi? Il primo aspetto da notare è che tutti i dispositivi connessi alla Rete sono da considerarsi uguali, ovvero vanno tutti protetti. Anche le macchine smart potrebbero essere oggetto di attacco e causare quindi danni economici. Esistono dei prodotti specifici che permettono di monitorare le macchine, ad esempio tenendo sotto controllo il traffico o che fungano da firewall. Questi sono essenziali per proteggersi. Che rischi comporta utilizzare il proprio smartphone in azienda? Il proprio dispositivo personale può rappresentare un rischio per l’azienda perché può essere oggetto di attacco, e quindi può diventare una vulnerabilità. Per questo sarebbe buona norma avere uno smartphone aziendale che possa svolgere soltanto alcuni compiti e che sia dotato di antivirus. In questo modo i rischi si abbassano notevolmente. Alcune aziende hanno una rete parallela per utilizzare il proprio dispositivo personale senza rischi per l’azienda. Quale tipo di autenticazione è più sicura? I meccanismi di autenticazione biometrica sono più sicuri delle password, in generale la tendenza è quella di proseguire su questa strada perché rendono l’accesso più semplice e difficile da attaccare. Username e password probabilmente rimarranno ma come secondo fattore verrà richiesto un dato biometrico. L’IA che tipo di impatto ha in questo mondo? L’impatto dell’IA sarà innegabilmente grande, lo stiamo già vedendo intorno a noi. Se da un lato permette azioni malevole molto più veloci e complesse, consente anche di alzare le barriere di difesa contro questi attacchi. Oggi siamo già al lavoro per trovare sistemi che identifichino i pattern di creazione di contenuti dell’IA in modo da trovare subito una mail di phishing scritta con il suo ausilio e ridurre le problematiche. Che consigli hai per le PMI e la gestione della sicurezza informatica? Il primo consiglio è quello di formare i dipendenti perché è essenziale per prevenire possibili situazioni a rischio piuttosto che intervenire dopo. Il secondo è quello di fornire ai dipendenti hardware sicuro e che sia ben configurato per evitare azioni pericolose. Il terzo riguarda il monitoraggio delle azioni sulla rete aziendale, questo per tenere costantemente sotto controllo quello che accade.
Parliamo di robotica con Daniele Pucci

Come nasce il progetto ErgoCub? Nasce da un progetto anche in collaborazione con altri partner europei, iCub, che esplorava la creazione di un robot come progetto di ricerca. Da questo poi nasce ErgoCub, in collaborazione con INAIL, con l’obiettivo di capire come un robot umanoide possa aiutare a prevenire infortuni sul lavoro. Perché proprio INAIL? Secondo le statistiche circa il 70% degli infortuni sul lavoro coinvolgono l’apparato muscolo scheletrico, questo significa che è un’area molto critica d’intervento. Questo vuol dire che le attività manuali sono prevalenti nel sistema produttivo italiano. Un robot come ErgoCub quindi ha un ruolo fondamentale nella prevenzione. Intanto stavamo anche lavorando ad un altro progetto nell’ambito dell’abbigliamento smart che monitori i rischi sul lavoro, un binomio interessante. Come l’IA aiuta in un progetto del genere? L’IA è essenziale in un progetto come quello di ErgoCub perché permette di sviluppare un movimento quanto più possibile vicino a quello umano. ErgoCub è mosso da un’intelligenza artificiale cognitiva, in grado di interfacciarsi con il mondo, di capirlo e di interagire con gli esseri umani. L’altra IA è motoria, e questo è l’elemento più critico in quanto ErgoCub deve operare con operatori in carne e ossa. Come viene recepito ErgoCub in un contesto lavorativo? Il lavoro più grande è quello di rendere intellegibile lo stato del robot, quindi in poche parole le “espressioni” del robot, tramite led o altri sistemi. Questa è una sperimentazione da fare sul campo. ErgoCub può essere connesso ad un gestionale? Al momento non abbiamo affrontato questa tematica ma è chiaro che dovrà essere reso possibile al momento di una sua effettiva implementazione in un contesto d’impresa. A che punto è della sperimentazione? Al momento il test più avanzato è sulla parte di abbigliamento smart, che è già molto avanti come sviluppo. Per quanto riguarda i robot stiamo cercando aziende insieme a Confindustria per validare definitivamente il progetto sul campo. Ovviamente noi stiamo testando già in laboratorio la soluzione. Il futuro è dei cobot o dei robot? Dipende dalle situazioni di utilizzo. In contesti aziendali lo spazio per i cobot, quindi per una collaborazione stretta tra operatori umani e macchine intelligenti sarà sempre più frequente e proficua. Questo perché si potranno unire le forze verso un obiettivo comune aumentando le capacità dell’uomo. Dall’altro lato esistono ed esisteranno specifici compiti che saranno più adatti ad essere svolti solo da robot. D’altro canto questo creerà altri lavori necessari. Il punto è anche quello di saper gestire la rapida evoluzione della situazione da un punto di vista di welfare. La più grande sfida che avete affrontato durante lo sviluppo? Probabilmente la sfida più grande è stata progettare tutto durante la pandemia. I componenti non erano reperibili con facilità. Inoltre è stato molto difficile superare coniugare la meccanica del robot con la capacità di interagire con un essere umano. Quanto sono utili processori interamente dedicati al calcolo IA? Si tratta di una risorsa immensa e molto utile per chi ha bisogno di sviluppare un progetto simile. Il problema al momento è la reperibilità perché ad ora non se ne producono molti e i colossi tech ne acquistano molti. Inoltre i costi sono molto alti. Esiste un meccanismo di collaborazione europea per progetti di questo tipo? La collaborazione esiste ma bisogna tenere a mente che per far funzionare una collaborazione occorre avere un progetto finanziato. Questo non è sempre facile in questa fase storica in Europa. Non di rado si lavora su progetti in collaborazione con aziende esterne. Cosa ti ha impressionato di più nell’ultimo anno? La prima cosa è ChatGPT, senz’altro una rivoluzione che dal punto di vista tecnico segna un importante momento per la tecnologia che utilizza. La seconda cosa è la crescita di progetti dedicati alla robotica umanoide in tutto il mondo, questo è un indicatore del fatto che stiamo vivendo un periodo di forte accelerazione. Il futuro per questa tecnologia appare molto roseo.